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Banca conversazionale: la digital transformation nel settore banking

da | Gen 16, 2020

Una banca customer-centric, a portata di cliente, sempre presente. La banca conversazionale, quella che dialoga con l’utente grazie alle moderne tecnologie, è una delle risposte del mondo banking alla digital transformation e a un cliente sempre più esigente. Un trend che si sta già affermando e che è destinato a crescere, con un impatto sui costi degli istituti di credito.

 

Alle origini della banca conversazionale

 

Era il 1967, e il mondo delle banche stava per conoscere la più grande rivoluzione della sua storia: dopo 500 anni di scambi fatti di rapporti strettamente personali tra istituto e cliente, da Barclays faceva la sua comparsa l’ATM, l’Automatic Teller Machine. Quello, insomma, che in Italia sarebbe stato (pur impropriamente) chiamato bancomat. Uno strumento che (giunto nel nostro Paese nel 1974 e installato per la prima volta a Milano, presso la Banca Popolare di Novara) consentiva alla clientela di “parlare” con la propria banca anche negli orari di chiusura delle filiali prelevando denaro direttamente e senza l’intervento del personale. Una rivoluzione, quella dell’ATM, che era solo l’inizio del grande sconvolgimento tecnologico che stava per attraversare, a un ritmo sempre più frequente, il mondo bancario.

 

Perché pochi anni dopo, nel 1984, fece la sua comparsa la “Banca telefonica” (adottata per la prima volta dalla britannica Girobank), e quindi, dopo alcune soluzioni sperimentali nel corso degli anni Ottanta e Novanta, con la nascita di Internet l’americana Wells Fargo fu la prima, nel 1995, a introdurre forme di interazione con gli utenti attraverso il proprio sito web, in quello che sarebbe poi diventato l’Online banking. Uno strumento potentissimo, che cambiava radicalmente il rapporto tra banca e cliente: per gestire il proprio conto e le attività finanziarie non era più nemmeno necessario andare in filiale o allo sportello automatico, bastava accendere il computer di casa.

 

Pochi anni ancora, e l’evoluzione portò all’SMS banking e quindi, intorno al 2010, al Mobile banking, che portava la banca nello smartphone cambiando di nuovo le abitudini e avvicinando clienti e istituti. Ma, al tempo stesso, rendendo il rapporto sempre più freddo e impersonale.

 

Che cos’è la banca conversazionale e come funziona

 

Ma la rivoluzione più grande di tutte, quella ancora in corso, è iniziata nel 2017, quando le banche hanno iniziato a rapportarsi con i propri clienti digitali in un modo completamente diverso, tornando a “conversare” con loro attraverso il mezzo di comunicazione più antico e più potente di tutti: il linguaggio. Basta pensare a Buddybank, il progetto di Unicredit lanciato ufficialmente nel 2018 ma ideato già un anno prima. Era nata l’era del “Conversational banking”, la Banca conversazionale, capace di coinvolgere il cliente in una vera e propria conversazione attraverso strumenti tecnologici (quali le app di messaggistica, ad esempio) riconquistando così quel rapporto diretto che si era sempre più diluito con l’innovazione tecnologica. In questo modo, esattamente come farebbe in filiale, il cliente può porre domande e ottenere risposte, disporre operazioni, interagire a diversi livelli con la banca, semplicemente “conversando”, a voce o con chat testuali.

 

Le chat, il modello di interazione principale

 

Un’innovazione tale, quella del Conversational banking, che secondo il report “Ready to Talk” di Accenture è destinata a diventare “il terzo pilastro del network distributivo della banca multicanale, assieme al mobile e a un numero (ridotto) di filiali fisiche”. E, addirittura, il rapporto prevede che le CUI (Conversational User Interfaces, cioè WhatsApp, Telegram, Snapchat, Facebook Messenger, WeChat, i chatbot, le web chat e in generale tutti gli strumenti di relazione della Banca conversazionale) “diventeranno il modello di interfaccia di interazione principale per l’accesso quotidiano ai servizi digitali, e il punto di accesso per l’introduzione su larga scala dell’intelligenza artificiale nei processi B2C”.

 

 

Banca conversazionale, le tecnologie

 

Perché uno dei maggiori punti di forza della Banca conversazionale è che, proprio grazie all’applicazione di tecnologie quali l’intelligenza artificiale e il machine learning, “ogni interazione può essere adattata per riflettere le specificità sia dell’identità di brand della banca sia del profilo individuale del cliente” in quella che è a tutti gli effetti una conversazione in linguaggio naturale, senza bisogno di alcun tipo di abilità informatica o di capacità di destreggiarsi tra oscure pagine web.

Del resto, sottolinea il report, “le app di messaggistica sono oggi la forma dominante di interazione mobile, e la maggior parte dei clienti le ha già installate sui propri dispositivi”. E non a caso il trend conversazionale si sta diffondendo rapidamente e in modo trasversale attraverso tutti i settori B2C. E poiché questa è l’era delle “personalizzazioni di massa” e delle “aspettative liquide”, le banche, “manipolando big data, analytics, modelli di interazione e algoritmi predittivi, possono offrire un’esperienza sempre più personalizzata alle masse, incontrando le aspettative dei clienti e garantendo” (a patto di non ridurre il proprio sistema conversazionale a una semplice risposta alle FAQ) una “customer experience senza precedenti”. A partire dal modello di più semplice implementazione, cioè la classica live chat sul sito web, fino ad arrivare a strumenti complessi quali bot, chatbot, roboadvisor e strumenti automatizzati che possono andare dalla risposta a semplici dubbi ai consigli su risparmi e investimenti, arrivare fino all’analisi del merito creditizio e alla concessione di prestiti.

 

L’impatto sui costi degli istituti di credito

 

Secondo una stima di Juniper Networks, i chatbot comporteranno per le banche “una riduzione dei costi sempre più marcata, dai 209 milioni di dollari annui globali del 2019 a oltre 7,3 miliardi di dollari l’anno nel 2023”, con “un risparmio globale per gli istituti di credito di 862 milioni di ore, pari a quasi mezzo milione di anni di lavoro equivalente”.